Il professor Luigi Carena, docente di Letteratura francese, fa parte del comitato di indirizzo con la signora Micheli, la professoressa Emanuela Fogliadini e il rettore, don Giuseppe Grampa. Lo abbiamo incontrato per capire meglio in che cosa consista questo comitato e quale sia il suo obiettivo.
“Il comitato di indirizzo deve assicurare il perseguimento degli obiettivi posti dal cardinale Colombo a fondamento della sua iniziativa. Deve altresì recepire le nuove istanze culturali della società che evolve”.
Che cosa significa dedicare parte del proprio tempo da anziani allo studio? E perché lo si fa?
“Lo studio e l’incontro con molti amici aiutano ad accrescere la qualità della vita di una persona anziana.
Inoltre, ritengo che sia di grande soddisfazione poter studiare per il piacere di studiare.
L’università non esige esami e non rilascia diplomi, perciò vi si coltiva la gratuità dell’apprendere.
Infine, i contenuti delle varie discipline professate aiutano a comprendere la complessità dei fenomeni sociali in cui si vive, aiutano a comprendere che non esistono soluzioni né facili né magiche da opporre a tale complessità. E’ così che l’anziano non diventa un siòr Tòdero Brontolòn, isolato e perennemente arcigno, bensì una persona che attira a sé per la straordinaria capacità di ascolto e la parsimoniosa elargizione di consigli”.
In che modo gli anziani possono collaborare alla realizzazione di una Milano più equa e adatta a tutti?
“Bisognerebbe prima definire il concetto di equità e questo sforzo di comprensione potrebbe derivare proprio dallo studio. Quanto a una Milano adatta a tutti, il generale de Gaulle se la caverebbe con la sua famosa risposta lapidaria: «Vaste programme!». Sarebbe una chimera auspicare una “Milano da bere” che si volti indietro, verso chi cammina più lentamente, e porga il bicchiere dell’amicizia?”
C’è bisogno di un dialogo intergenerazionale serio, anche a livello accademico? Voi siete disposti a impegnarvi su questo?
“Il dialogo intergenerazionale è una chimera, ma è giusto vagheggiarlo. È una chimera perché è nell’ordine naturale delle cose che ci sia il vallo generazionale. Il divario non si potrà mai colmare e chi gioca a fare l’amicone delle generazioni più giovani finisce per diventare la patetica caricatura di sé.
La vocazione dell’anziano è quella di porre semmai dei ponti per comunicare tra le due sponde del vallo. Creare ponti, ossia non avere sempre la risposta pronta per tutto, non trinciare giudizi, non emettere sentenze, non criticare sistematicamente le novità perché tale atteggiamento scava ancor più profondamente il divario tra le generazioni. L’anziano ha la ricchezza dell’esperienza da donare, non da imporre. Nello zibaldone di un anziano professore ho trovato queste note che confermano quanto affermato:
«Signore, nonostante i malanni che mi porto addosso, fa che io possa sorridere al mio prossimo, perché il sorriso è l’unica cosa che i più giovani sanno accettare, infatti della mia esperienza non sanno che cosa farsene. È fatale che sia così, forse anch’io ho fatto inconsciamente lo stesso quand’ero giovane. Ma tu, Signore, che dal vivente ricevi la gloria, aiutami a sorridere ai giovani per incoraggiarli a percorre il cammino che noi vecchi abbiamo già fatto. A dire loro Coraggio, e non Te l’avevo detto. E quando verrà il momento di sciogliere le vele, mi piacerebbe farlo sorridendo perché il sorriso è l’eredità che mi piacerebbe lasciare a chi mi segue sul sentiero delle asperità della vita».